Intervista concessa a Filippo Tonietto, direttore de IL CONCETTO giornale scolastico dell’IIS Marchesi (numero di febbraio 2018)
Cari Marchesini, come va? … Queste ultime settimane hanno visto la rappresentazione di un progetto che, all’interno della nostra Scuola, è uno di quelli che personalmente, avendone fatto parte per ben due anni apprezzo di più, sia per quanto riguarda CHE COSA tratti sia per il COME lo tratti. Avete capito benissimo, sto parlando dello spettacolo sulla Giornata della Memoria, messo in scena dai ragazzi del laboratorio teatrale tenuto già da diversi anni dal Dott. Roberto Caruso e che, quest’anno, ha all’attivo ben due incontri alla settimana tra cui scegliere in due sedi diverse, il tutto per agevolare chi abita più distante e/o è in una sede lontana dalla Centrale. Mastro Robert (nome usato dai ragazzi del gruppo teatrale per indicare il loro regista) ci ha tenuto in più occasioni a farmi capire come sarebbe stato onorato di dare in esclusiva a Il Concetto una sua intervista e non mi sono fatto sfuggire l’occasione. Senza tergiversare ulteriormente, vi lascio alle parole del regista!
“Nome, cognome e nome d’arte”
“Beh, non c’è un nome d’arte, sono Roberto Caruso… l’appellativo con cui mi chiamate voi, Mastro Robert, è un vezzo, più che un nome d’arte… se vuoi posso dirti che ho un profilo Facebook che è titolato ‘Marlon Robert’! Questo è però quasi un gossip…”
“Che tipo di lavoro svolge al Marchesi?”
“C’è un percorso laboratoriale che viene fatto in orario extra-curriculare, e poi c’è una collaborazione con alcuni docenti anche per un lavoro curriculare in cui utilizzo strumenti, come il teatro, per ottenere degli effetti benefici nella comunicazione… molto sinteticamente.”
“Ha altre attività fuori dal Marchesi?”
“Sono il direttore artistico dell’associazione culturale Abracalam, che è un gruppo di teatro indipendente che progetta nell’ambito del teatro degli interventi con cui diffondere attraverso le arti sceniche cultura, innanzitutto, ma anche solidarietà: affrontare i grandi temi che sono quelli della pace, dell’ambiente, della valorizzazione delle risorse inestimabili del nostro sciagurato paese.”
“Quando è nato il suo interesse per il teatro?”
“Beh, io come molti dei miei allievi ho cominciato a fare teatro a scuola. Perché lì successe che arrivò un attore (tanti anni fa) nella scuola che frequentavo e fu proposto un corso di “dizione e recitazione”, così si chiamava. Sostanzialmente erano degli incontri finalizzati a mettere su uno spettacolo teatrale che all’epoca era ispirato a Federico Garcia Lorca, “La Calzolaia ammirevole”, uno dei pochi testi brillanti di Lorca, che generalmente ha delle atmosfere molto cupe. Diciamo quindi che era un interesse che covava già, quella è stata l’occasione per mettere in pratica quello che era, appunto, un interesse, che fino a quel momento non trovava una messa in pratica.”
“Quali tappe della sua carriera artistica ritiene degne di essere raccontate?”
“Tutte. Ahah, beh no: in particolare ricordo con molto piacere e molto orgoglio di aver avuto l’incarico di dirigere Legami di Memoria, che è una manifestazione che si svolge a Palermo il giorno della strage di via D’Amelio, quindi in memoria di Paolo Borsellino. L’ho diretta per 6 anni e quindi questa è una cosa che ricordo con particolare piacere… come si dice? Orgoglio? Si, direi che va bene.”
“Ha mai pensato di lavorare in un film? In veste di regista, o magari anche di attore?”
“Uhm, in verità io ho lavorato come attore in qualche film. Di regista sinceramente credo di non avere le competenze per poterlo fare, però io amo fare il teatro perché rispetto al cinema può essere migliorato giorno dopo giorno, può essere elaborato… mentre il cinema, per quanto io sia appassionatissimo di cinema, non passa settimana senza che io vada a vedere un film, a volte anche più di uno, come lavoro mi affascina meno. Subisco decisamente il fascino del teatro proprio per quella dimensione di live performance e soprattutto perché, appunto, consiste in qualcosa di continuamente elaborabile.”
“Cosa ispira il suo particolare modo di insegnare e fare teatro?”
“Questa è una domanda difficile. Mi avevi promesso che non ce ne sarebbero state! È difficile non tanto perché sia difficile pensare a qualche cosa che ti ispira, ma perché le ispirazioni cambiano. Proprio perché sono affascinato dal work in progress, i riferimenti sono molti, sono suscettibili di variazione e comunque diciamo che il presupposto è una grande curiosità nei confronti di tutti i meccanismi che il mondo ci regala quotidianamente. La natura è una fonte inesauribile di idee, di spunti e di ispirazioni. Poi ci sono alcuni riferimenti artistici che si tengono in considerazione, primo fra tutti direi l’opera di William Shakespeare, e quindi tutti gli interpreti a partire da Peter Brook.”
“Ci parli dell’ultima fatica del laboratorio teatrale della Scuola: ambientazione e realizzazione.”
“Anche questa non è mica facile, eh. Dato che è qualche stagione che, come tu sai, stiamo provando ad abbinare la prima verifica teatrale del gruppo in coincidenza della Giornata della Memoria, si pone ogni volta l’interrogativo su quale debba essere lo spunto. Io durante questo periodo mi leggo (o rileggo) tutti i libri che mi capitano che parlano dell’argomento e, tra l’altro, ho riletto I sommersi e i salvati di Levi, dove lui, avendolo scritto pochi mesi prima della morte, dice che la sua preoccupazione è proprio quella di trovare dei modi per parlare di quello che è un fatto che ormai è avvenuto tantissimo tempo fa, e del fatto che ormai i giovani sono molto distanti da quella che è la memoria storica, e quindi un po’ mi ci sono trovato anch’io: ho colto, lavorando con i ragazzi, non una diffidenza, ma una sensazione: non vorrei che quello che dovrebbe essere un ricordo vivo, diventasse una specie di rituale un po’ sterile. E quindi ho deciso di provare a trovare, come è il compito del teatro, quelle che sono le analogie col presente, e sicuramente meglio di me ebbero delle intuizioni post-Shoah autori come Bradbury, che abbiamo affrontato qualche anno fa, e come Orwell, nel rappresentare questo futuro distopico in cui il problema razziale e del totalitarismo (soprattutto) torna. In realtà proprio dai ragazzi è venuta quest’idea: “Perché non trattiamo il tema, quest’anno, affrontando, per esempio, La fattoria degli animali o 1984?”. Io ci ho riflettuto un po’ e ho pensato che 1984 avesse dei collegamenti più efficaci col pensiero della Arendt: infatti il lavoro inizia proprio con la frase che parlava delle conseguenze estreme del totalitarismo, presa da La banalità del male. Da lì nasce l’idea di Orwell, che proseguirà nei prossimi mesi e tenderà ad allontanarsi un po’ dai riferimenti specifici della Shoah, per calarsi maggiormente nella situazione distopica di 1984, cercando un’azione più vicina a quelli che sono gli spunti che vengono dal buon Orwell.”
“Ha un messaggio particolare da lanciare ai lettori de Il Concetto?”
“Mi verrebbe da lanciare un banale invito a leggere… ma soprattutto un invito a non considerare il teatro per quello che si pensa che sia. Spesso noi abbiamo un’idea di teatro che è parziale… anch’io, eh! È successo a molti ragazzi che hanno affrontato il laboratorio di scoprire un volto nuovo (intervistatore compreso). Bisogna pensare ad un’idea di teatro che non si curi essenzialmente dell’intrattenimento, ma che diventi un’esplorazione… mi piace pensare a Robinson sulla sua isola che cerca di capire dove sta… ma soprattutto si preoccupa di sopravvivere!”